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Il viaggio da Phu Quoc a Phnom Penh meriterebbe un post a parte. Siamo partiti di mattina, sotto la pioggia, su un minibus diretto ad uno dei porti di Phu Quoc per imbarcarci sulla nave per Ha Tien, la citta' piu' vicina al confine con la Cambogia. Questa frontiera e' stata di recente aperta agli stranieri e ha il vantaggio di essere poco battuta, ma anche lo svantaggio di non essere ancora funzionale come altri tratti di confine. Tanto per cominciare, l'autista del minibus non aveva bene idea di quale fosse il porto giusto, e, prima di indovinarlo, ha cercato di scaricarci un paio di volte davanti alla nava sbagliata. Dopo varie inversioni a U e corse su strade sterrate, siamo arrivati al porto giusto e abbiamo preso la nave al volo. Poi, chiamarla nave e' un eufemismo. Chiaramente priva delle piu' basilari misure di sicurezza, assomigliava piu' ad una scatola di sardine gigante, al cui interno erano ammassate persone e valigie, senza avere la cura di lasciare libero lo spazio davanti alle uscite di sicurezza. Per fortuna quella mattina il mare era una tavola e la pioggia sembrava aver deciso di darci una tregua. La traversata e' durata circa due ore, dopo di che siamo stati scaricati al porto di Ha Tien, ricaricati su un altro minibus e riscaricati al confine, che abbiamo attraversato a piedi, seguiti da individui di non chiara provenienza che trasportavano i nostri zaini in motocicletta. Abbiamo sbrigato le faccende burocratiche in tempi relativamente brevi, e ci siamo ritrovati in Cambogia, incerti su che cosa sarebbe accaduto dopo. L'autista vietnamita nel frattempo si era volatilizzato, e un nuovo autista cambogiano si era materializzato. Con grandi sorrisi si e' presentato e ci ha chiesto di sederci per qualche minuto ad un bar ad aspettare l'arrivo del minibus che ci avrebbe finalmente portati a Phnom Penh. Due ore dopo, eravamo ancora li', accaldati, impovelrati e confusi, ad aspettare non si sapeva cosa. Quando stavamo per perdere la pazienza (e la speranza) il famoso minibs e' finalmente arrivato, ha caricato noi e due inglesi e si e' messo in cammino. Ma la gloriosa marcia e' durata solo pochi metri. Abbiamo sentito un rumore metallico e capito che qualcosa non andava, l'autista e' sceso e ha cominciato a vagare avanti e indietro in cerca di qualcosa che suppongo fosse una parte che si era staccata. Poco dopo pero' e' tornato per comunicarci che non l'aveva trovata e che percio' il minibus aveva un problema. E dunque? Dopo aver telefonato al capo, e' stato decretato che noi saremmo stati messi su un altro autobus e che i due inglesi avrebbero preso un passaggio in moto. L'altro autobus in questione era pero' uno scassatissimo minibus pubblico, gia' stracarico di persone, e senza aria condizionata. Meglio di niente, abbiamo pensato, e ci siamo seduti buoni buoni tra scatole di cartone e gabbie per uccelli. Prima di riuscire a metterci sulla strada principale per la capitale, l'autista e' tornato indietro due volte per caricare altre persone e ovviamente altre valigie, al punto che non c'era quasi piu' posto per mettere i piedi. Il tutto era talmente surreale da essere ridicolo e, dopo il nervosismo iniziale, siamo riusciti a buttarla sul ridere e a goderci il viaggio, lento in modo estenuante, attraverso la campagna cambogiana. Siamo arrivati che era gia' sera, e l'unica cosa che siamo riusciti a fare dopo aver sistemato i bagagli in albergo, e' stata andare a cena e ingozzarci dei nostri primi piatti khmer.
Il giorno dopo ci siamo alzati presto e abbiamo preso un tuk-tuk per Tuol Sleng, la ex-scuola trasformata dagli khmer rossi in prigione politica e luogo di terribili torture. Per quanti libri di storia si possano leggere sul regime di Pol Pot, non si arriva mai abbastanza preparati a quello che si vede a Tuol Sleng. Le celle ancora intatte, dove i prigionieri giacevano per terra con le caviglie incatenate. Le macchie di sangue ancora visibili sul pavimento. Gli strumenti di tortura che venivano utilizzati e le pile di vestiti che venivano tolti ai prigionieri prima che venissero portati ad essere giustiziati ai killing fields. Dopo aver passato un'ora li' dentro, l'unica cosa che volevamo era levarci dalla mente quelle immagini terribili, e il modo migliore per farlo e' andare a rifugiarsi al Museo Nazionale e ammirare le sculture di epoca angkoriana e le loro faccione sorridenti. E dopo magari andarsi a sedere lungo il fiume e mangiarsi qualcosa al fresco. Noi cosi' abbiamo fatto, e, dopo pranzo, ci siamo diretti verso il Palazzo Reale, dove abbiamo passato il resto del pomeriggio mentre fuori infuriava il solito temporale tropicale della sera.
Il secondo giorno siamo andati a visitare i killing fields e l'esperienza e' stata ancora piu' inquietante di quella del giorno prima. Una guida ci ha accompagnato per i campi, indicandoci le decine di fosse comuni (si vedono ancora pezzi di ossa e di denti!), gli alberi che venivano usati per uccidere i bambini sbattendo le teste contro i tronchi, e le migliaia di teschi e altre ossa impilati all'interno del monumento costruito per conservarne la memoria. La guida stessa era stata vittima del regime e aveva perso quasi tutta la famiglia. Mentre parlava, si batteva con rabbia le mani sulle gambe e ripeteva "Pol Pot very bad man, very bad man". Come dargli torto. Ma ci si chiede comunque come abbia fatto un uomo solo a convincere migliaia di persone ad obbedire ai suoi terribili ordini e fare piu' di 2 milioni di vittime in 4 anni.
Il resto della giornata e' stata dedicata all shopping e ad un meraviglioso massaggio rigenerante all'istituto per ciechi.
Prossima tappa Siem Reap e i famosi templi di Angkor. L'impressione generale fino ad ora e' che sia vero quello che si dice, e cioe' che la Cambogia e' 10 anni indietro rispetto al Vietnam. Le strade sono malmesse, le citta' piu' sporche, e la gente sembra piu' povera. Pero', piu' che in Vietnam, le persone sono cordiali, piu' ironiche e meno insistenti, eccezion fatta per i guidatori di tuk-tuk che, se potessero, ti accompagnerebbero anche in bagno.
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