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"Chi ama l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. E' sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l'amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato.
Innamorati, non si sente ragione; non si ha paura di nulla; si è disposti a tutto. Innamorati, ci si sente inebriati di libertà; si ha l'impressione di poter abbracciare il mondo intero e ci pare che l'intero mondo ci abbracci. L'India, a meno di odiarla al primo impatto, induce presto questa esaltazione: fa sentire ognuno parte del creato. In India non ci si sente mai soli, mai completamente separati dal resto. E qui sta il suo fascino."
Così scrive Tiziano Terzani nel suo libro "Un altro giro di giostra". Avendo letto quasi tutti i suoi libri sull'Asia amai la Thailandia, la Birmania e la Cina. Proprio non sapevo come sarebbe stata questa famosa India: il paese d'origine di Buddha!
Quale viaggiatore fui più che altro preoccupato di ammalarmi di diarrea acuta o di utilizzare gabinetti medievali. Molti amici in Svizzera mi misero in guardia più volte. Per mia fortuna andai benissimo di corpo e anche i gabinetti furono nella media. Da parte mia ci fu nessun colpo di fulmine per la piccola porzione d'India visitata: Delhi e il Rajasthan. Il fascino di queste due mete, ormai turistiche a tutti gli effetti, è quasi tutto perso. Interessantissime però le storie e le leggende di antichi palazzi, conquistatori d'altri tempi e Maragià. Esse mi vennero raccontate dalle guide durante le visite o le ascoltai direttamente dagli apparecchi auricolari noleggiati. Sicuramente non odiai l'India. Bellissimi i colori e i lunghi vestiti delle donne indiane. Buonissimi e intensi i sapori dei diversi cibi. Autentici molti artefatti e degli oggetti fatti ancora a mano. Questi furono i tre aspetti positivi dell'India visitata che mi colpirono maggiormente. Purtroppo corruzione, crudeltà e il beneamato il materialismo abbondavano. Tornando a citare Terzani si tratta di una "drammatica e sfacciata contrapposizione degli opposti di bellezza e mostruosità come pure ricchezza e povertà".
A Udaipur conobbi un uomo d'affari e padre di famiglia. Egli mi raccontò che, quando fermato ubriaco alla guida, gli bastava dare 100 rupie all'agente di polizia (meno di due $US). Poi mi confessò di portare con sé sempre una pistola in macchina. "L'India è uno dei paesi più corrotti!", parole sue.
Durante il mio soggiorno in India pensai sul viaggiare in generale. Le differenze tra l'India e l'Europa sono immense, quindi iniziai a chiedermi se fosse sensato stare in India. Mi divertì il fatto che i turisti europei solitamente visitino templi e costruzioni sacrali in tutto il mondo. A casa propria invece la chiesa viene visitata si è no due o tre volte l'anno. Quando poi la visita non è spontanea o svogliata il tutto risulterebbe insensato, a prima vista. Per questo in Rajasthan non visitai completamente un tempio. Il solito indiano mi fece depositare le scarpe nel "suo" ripostiglio, cercando poi di vendermi dei fiori per un'offerta al Dio del tempio. Infine mi seguì per farmi da guida senza ascoltare i miei innumerevoli "No, grazie...". Quindi mi sedetti su un muretto vicino a degli indigeni, pensando al ragionamento di noi europei in questi templi oltreoceano. Tornai alle mie scarpe e conclusi lasciando dieci rupie per il disturbo. Mi sentii davvero un estraneo dando ragione al movimento anticoloniale indiano di Gandhi che voleva "mandarci via".
Naturalmente in India ci venni per alcuni motivi. Uno fu di vedere il "Taj Mahal". Ancora ricordo il primo compito quando arrivarono i computer alla scuola secondaria di Stampa: disegnare la facciata del "Taj Mahal". Imponente, bianchissimo e lucido dal vivo. Penoso che al posto di togliersi le scarpe vengano distribuiti dei sacchettini di plastica usa e getta. Bella e interessante la storia raccontatami dalla guida su questo mausoleo, la quale non conoscevo ancora. Un altro motivo della mia visita in India fu il semplice desiderio di assaggiare del vero curry indiano. In seguito mi innamorai dei diversi pani che accompagnano i cibi piccanti. Conoscendo già il "naan" dalla cucina libanese, felicemente mi cibai di numerose estensioni di questo tipico pane piatto. Il "roti" ad esempio, comunemente chiamato "chapati" o "paratha", è disponibile in diverse versioni con o senza ripieno. Per un mangiatore di pane come me fu davvero una bella sorpresa!
A un certo punto realizzai che nel turistico Rajasthan e nella pazza Delhi lo scopo dei turisti stranieri era quello di spendere più soldi possibili. Oggetti inutili in stile soprammobile di scarsa qualità, tappeti, pietre preziose, gioielli e scialle di pashmina spaziavano ovunque. Affittare auto autista incluso e stare in un hotel "all inclusive" era normale. Quindi con un'amica - e futura ragazza - arrivata da Bangkok decidemmo di scappare in Kashmir. Non visitammo le affollate e a loro volta ormai turistiche Shimla-Manali-Dharamsala. L'agenzia viaggi dell'hotel a Delhi cercò di rifilarci un pacchetto tutto incluso, dicendoci che ci volevano dei permessi speciali. Sarebbero stati lieti regolare il tutto a un buon prezzo. Balle! Non ci volle alcun permesso per entrare a Srinagar. Ben due altri uffici di Delhi ci sconsigliarono i treni e cercarono di farci affittare un taxi con l'aria condizionata per tutto il giorno. Invece la metro fu ottima e a buon prezzo. Pure il treno per l'aeroporto fu uno dei migliori "air link" che abbia mai visto e costava un decimo del solito taxi. Con molta fortuna a "Connaught Place" scoprimmo un ottimo ristorante (Pind Balluchi) con cibi gustosissimi. Cercai di concentrarmi sulle cose belle dell'India: colori, gusti e artigianato.
Arrivato a Srinagar capii di essere atterrato in un altro posto. Politicamente in India ma culturalmente, religiosamente e geograficamente definitivamente no. Alloggiammo in una bellissima "house-boat" (Chicago Group of Houseboats) sul lago. Contrariamente al suonare dei clacson c'era il gentile frusciare dei remi, romanticamente a forma di cuore, delle innumerevoli barche: una "Venezia dell'Himalaya". Il gerente, il personale, l'autista che ci accompagnò dall'aeroporto come pure la gente e gli ufficiali erano più gentili, onesti e umili. Provocai la mia amica affermando che la gente di montagna sia semplicemente fatta così. Vero o no poco importava, visto che mi "sintonizzai" all'istante.
"Se in terra esiste il paradiso,
allora è qui, è qui, è qui."
(Famoso antico verso, che ogni kashmiro ama recitare).
Impressionante la similitudine della natura con la Svizzera. Ancora più impressionante realizzare che non ero in Svizzera. Natura a parte le differenze erano totali: religione musulmana, donne col capo coperto, cibi, strade, case, poliziotti e dappertutto militari armati di AK-47. Fu bello e nostalgico constatare che l'agricoltura la faccia da padrona nell'economia locale. Campi arati con i buoi, tantissimi pastori con le loro greggi di pecore o capre, molto cavalli e asini, tante piantagioni di riso irrigate a mo' di terrazze. Sommatti all'artigianato questo fattori valorizzano il territorio in grande stile. Il modo di guida è sicuramente indiano. Trascorremmo molte ore in coda. Gli automobilisti iniziavano a sorpassare le colonne da ambedue i lati. Quando la nuova corsia si bloccava, sorpassavano nuovamente e poi ancora. In alcuni casi si crearono otto corsie bloccate, occupando tutto lo spazio disponibile. Da Srinagar a Leh ci impiegammo il doppio del tempo previsto: 21 ore e mezzo!
Quando ero in Rajasthan mi dissi "Quando andrò in Kashmir, comprerò un tappeto!", non sapendo che ci sarei andato la settimana dopo. Avendo visitato tanti negozi e punti vendita di tappeti ero ormai un esperto: seta su seta o seta su cotone, solo cotone, lana merino o lana di yak e via dicendo. Spassoso il fatto che i nuovi venditori, vedendo le foto o ascoltando i nostri racconti dei venditori precedenti, ci dicevano che le informazioni sui materiali o colori dei tappeti erano false. Un tappeto deve piacere e mettendosi d'accordo sul prezzo lo si compra: così comprai un bel "kilim", colorato e dettagliato.
In Kashmir, Jammu e Ladakh rilessi alcuni passaggi sulle sorti di queste regioni prima, dopo e durante l'indipendenza dell'India e del Pakistan. Visitai diverse comunità musulmane e parlai a lungo con un giovane nella moschea di Srinagar sulle religioni del mondo. Conclusi con la certezza che un europeo qualunque, probabilmente cristiano, difficilmente disponga della facoltà sul decidere se una ragazzina debba (o possa?) coprirsi il capo a scuola o no. I musulmani come pure gli indiani sia indù che sikh vivono la vita in un modo completamente diverso da quello di un cristiano e non sta sicuramente ai cristiani, buddisti o addirittura a degli atei di giudicare.
Vi lascio citando il Mahatma Gandhi:
"Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo.
La verità e la non violenza sono antiche come le montagne."
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